Ritorna alla preistoria, facendo riferimento alla conoscenza universale e definendo l’Italia un’enciclopedia vivente (Alberti 1951: 46), in cui si possono scoprire diverse curiosità, solo se si è predisposti alla conoscenza, altrimenti «se sei solo uno “sfaticato” conoscerai soltanto… “i maccheroni” e “O sole mio”» (Alberti 1951: 46). Ribadisce quindi il concetto che questa sia una regione per turisti perspicaci. Attraverso il «dolmen» di Bisceglie, inizia una riflessione sulla morte e la filosofia primordiale. Questa pietra manteneva un contatto con la divinità che proteggeva ed accarezzava il defunto. Ancora una volta, esorta il viaggiatore a «scoprire questo primo monumento della civiltà umana che ha superato millenni, terremoti e cicloni » (Alberti 1951: 48). Il dolmen è la dimostrazione di come l’uomo abbia vinto per la prima volta contro l’inerzia della materia, laddove nacque la tecnica, lì dove tutto ebbe inizio. Questo momento è paragonabile alle fondamenta dell’impero della civiltà (Alberti 1951: 49). Ai piedi del dolmen sorgono degli interrogativi umani ai quali probabilmente non sono ancora state trovate delle risposte.
Dalla preistoria facciamo un salto al ricovero ultra moderno. Siamo sempre a Bisceglie ed il viaggio prosegue con una guida Saverio Majellaro (al quale è dedicato il capitolo), ponendo l’attenzione sulle grotte, donandoci una descrizione minuziosa, suggestioni e riflessioni sui nostri antenati; tuttavia questo luogo inevitabilmente porta la scrittrice a pensare ai bunker e ai rifugi sotterranei, nei quali era stata costretta a rintanarsi quando l’allarme cominciava a suonare: «Mai la grotta è stata modello di architettura tanto attuale come nel XX secolo!» (Alberti 1951: 52).
L’album biscegliese è lì dove presente e passato si incontrano e dove ogni dettaglio di questa città viene esaltato dall’autrice. Ricca di particolari, la descrizione vivace ci illustra ogni angolo della cittadina: dal magazzino al laboratorio, alla via fino ad arrivare alle arcate. In questo album ritroviamo anche le caratteristiche tipiche delle città del meridione. Quelle località in cui è necessario vedere non solo l’interno dell’abitazione del cittadino, ma anche e soprattutto l’esterno:
La via […] è l’arena sulla quale già si affaccia il bimbo di un anno a fare la sua prima conoscenza con la casa di pietra, coperta dal tetto il più bellamente colorato del mondo, il cielo d’Italia (Alberti 1951: 56).
Sulla strada la donna ci sorride e gioca con l’infante, ripara le calze, fa la siesta, pettegola con le vicine… Ma ecco che alla fine lei e lui son diventati vecchi. Egli porta la sedia davanti la casa e riposa. Ha gli occhiali sul naso e legge la gazzetta. Lei sbuccia fave, piselli o castagne. Han finito di essere gli attori dei vicoli e piazzette. Hanno preso ora il ruolo di spettatori (Alberti 1951: 57).
Queste sono le tradizioni che, nonostante la città si modernizzi, restano radicate per generazioni e generazioni. Non mancano in questo capitolo, i confronti con le altre nazioni: «L’inglese ama la sua “Home” ed il campo di sport, […] il Tedesco la cucina; l’Italiano ama soprattutto la strada» (Alberti 1951: 58).
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