Non è un viaggio solo alla scoperta del territorio pugliese, poiché grazie alle bellezze che ci sono è un percorso che permette al proprio animo di riprendersi, di rimarginare le ferite, nonostante i ricordi dolenti del passato.
Restiamo ancora un po’ nello Sperone d’Italia, il Gargano, tuttavia l’autrice ci porta sulla sua cima più alta, laddove si trova l’antenna garganica. Il Monte Sant’Angelo, luogo di apparizioni, nel passato una delle tappe fisse durante i pellegrinaggi, diventa il protagonista insieme ai racconti legati alla leggenda dell’Arcangelo Michele (Alberti 1951: 25–27). Come è possibile osservare dalle parole di Giuliani, in queste pagine si nota la formazione laica della scrittrice polacca, che utilizza un percorso descrittivo personalizzato (Giuliani 2009: 142).
Il campanile alletta l’immaginario della scrittrice e perciò ai suoi occhi diventa una sorta di antenna che collega la grotta e il cielo, abbattendo qualsiasi barriera, comunicando i diversi messaggi di pace di tutto il mondo (Alberti 1951: 27).
Sotto le ali dell’Arcangelo giungiamo fino alla grotta di Monte Sant’Angelo, dove l’eco della guerra rimbomba come un grande frastuono attraverso le parole dell’Alberti. Lo scendere le scale le riporta in mente il momento in cui si rifugiava in cantina dopo aver udito il suono dell’allarme bomba (Alberti 1951: 29). Le ali sotto le quali si ritrovano i due coniugi sono quelle della <Porta alata> della Basilica di Monte Sant’Angelo, quelle della statua dell’Arcangelo, eppure il desiderio dell’autrice è il poter creare delle ali, che ci permettano di rimettere a nuovo le nostre vite (Alberti 1951: 28–30). È interessante come non si soffermi sulla descrizione dei pellegrinaggi, ma piuttosto decida di presentarci i dettagli della statua dell’Arcangelo.
Successivamente, Kazimiera Alberti ci propone uno dei segreti pugliesi per antonomasia: l’enigma della Tomba di Rotari. L’invito che ci porge in questo caso è quello di provare a risolvere diversi rebus: la funzione del monumento, il quadrato che non sembra un quadrato, i capitelli, delle scale che non portano da nessuna parte e così via… (Alberti 1951: 30–33).
Cerca di smorzare i luoghi comuni creati sulla gente del Sud Italia:
[La] gente [ha] una certa gentilezza e socievolezza, ed un più dolce modo d’agire e di ospitalità. Il pugliese che in genere è abbastanza arido e non fraternizza molto, a Monte Sant’Angelo si è mutato in un uomo piacevole e pieno di cortesia (Alberti 1951: 35).
Non mancano qui descrizioni dei monumenti e anche una riflessione sulla morte dello studioso Giovanni Tancredi, lodato dall’Alberti perché era stato in grado di promuovere al meglio la sua terra, il Gargano. Qui possiamo condividere con la coppia un episodio ricco di folklore, che appaga le aspettative dell’autrice polacca, mangiando del pane e bevendo del vino in quel di Monte Sant’Angelo (Alberti 1951: 33–37).
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