Io riposo moralmente e fisicamente vedendo molti monumenti artistici, vivendo nel mondo dell’arte che mi permette dimenticare tutte le volgarità della vita. […] Io riposo quando il pensiero respira e lavora calmo e ritmico, anche se senza posa. Sulla balconata pugliese dovrei riposare (Alberti 1951: 20).
Sembra che la Puglia sia il luogo ideale per poter arricchire l’animo e al tempo stesso rilassarsi attraverso la visita di questi monumenti che ci danno la possibilità di non pensare agli episodi negativi della nostra vita e del mondo. È come se questa regione le permettesse di far riprendere la sua anima dopo gli avvenimenti bellici vissuti.
Dopo l’invito al riposo sulla balconata ci addentriamo tra le falde del Gargano e insieme alla scrittrice ci fermiamo alla prima «stazione»: Manfredonia. Arrivati qui, di notte, in pullman, l’Alberti la prima cosa che ci fa notare è che, nonostante sia pieno inverno, c’è un’aria che sa di primavera:
Non aver molta fiducia nel calendario. Anche esso tradisce, falsifica, inganna. Ritarda, avanza, senza motivo. Oggi per esempio, ti comanda di credere che è il <12 febbraio>. […] La giornata primaverile ha cancellato l’iscrizione <12 febbraio> e si fa beffe del calendario (Alberti 1951: 21).
Ci descrive i paesaggi e la natura, colei che sa essere crudele e al tempo stesso stupefacente. La città, definita dall’autrice una giovane sposa (Alberti 1951: 22), prende il posto di Siponto. Fa riferimento all’epoca degli Angiò e ricorda Giacoma Beccarini, la donna strappata alla sua terra nativa dalla corte di Costantinopoli, che da schiava divenne sultana turca. Il turchese, colore del mare e del cielo, domina le righe di queste pagine e sembrano donare all’autrice un senso di calma e tranquillità (Alberti 1951: 21–24).
In questo tragitto ci svela come le falde garganiche siano ricche di segreti, di alberi spogli che formano lettere ebraiche sulle terrazze, ma all’improvviso tutto ciò si interrompe di fronte alla visione di un albero in fiore. L’eco della guerra mondiale si fa spazio tra le righe e la metafora dell’albero in fiore rende esattamente l’idea della possibilità di poter rinascere anche dopo un lungo periodo di buio:
[…] l’albero in fiore, simbolo di miracolo. Dagli scuri, secchi rami spuntano i primi boccioli, a decina, a centinaia […]. Il secco scheletro dell’albero risorge. Vi è in questa trasformazione qualche promessa per l’uomo. Gli occhi han visto il crimine del secondo uragano mondiale vedono d’improvviso… un albero in fiore (Alberti 1951: 24).
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