Ecana, dopo essere stata cosparsa di sale, grazie alla sua tenacia è stata in grado di reincarnarsi in Troia. La scrittrice ci propone le due ragioni che hanno dato vita a questo nome:
[…] forse furono riuniti insieme questi due simboli, il poetico ed il materiale. Diomede trasmise la gloria troiana, la scrofa realizzo le sue mute promesse, superbamente pingui. Il villaggio si sviluppò. Divenne florido, nell’unto della carne e della gloria (Alberti 1951: 232).
Andando avanti, ma restando sempre nella stessa zona, l’esule polacca ci parla di un ordine del 1093 soprannominato la «Tregua di Dio», ovvero una sorta di pausa, di tregua, per poter recuperare i cadaveri e seppellirli con dovuto rispetto. Ciò fa sorgere nell’Alberti un senso di disappunto per quello che è avvenuto a Varsavia durante la rivolta del 1944 e soprattutto per quanto riguarda la «raccolta» dei caduti per le strade della capitale polacca (Alberti 1951: 234).
Troia era una di quelle città che si oppose alla consegna delle proprie chiavi all’imperatore svevo, Federico II. Iniziò una sorta di gioco tra i cittadini ed lo «stupor mundi», che ovviamente non andò a finire nel migliore dei modi ed ancora una volta Troia fu rasa al suolo. Tra i monumenti ce n’è uno che ci può dimostrare tutti i volti di questa località:
[…] tutte le reincarnazioni di Troia, illustri e funebri, dolorose e luminosi si centralizzeranno nella Cattedrale, le di cui pietre e marmi si ricordano ancora dai tempi di Ecana. E l’asimmetrica rosa della facciata, unica nel suo stile in tutta la Puglia, con le transenne l’una differente dall’altra, sembra simbolizzare le varie e differenti incarnazioni storiche della città (Alberti 1951: 237).
Di qui Kazimiera Alberti coglie i pregi che la Cattedrale offre al viaggiatore e ne descrive la facciata trattata come «la parte più importante di questa “Sinfonia”, che dopo una più intima conoscenza la si può denominare “Patetica”» (Alberti 1951: 238), il rosone e le porte definite dai critici dell’arte come «le più preziose dell’Italia meridionale dopo quelle della Cattedrale di Benevento» (Alberti 1951: 239).
Continuiamo la nostra gita all’insegna della scoperta dei segreti pugliesi, fermandoci questa volta a Lucera. Il passato e le leggende sono sempre presenti, con un tocco di modernità, come la tecnica del fotomontaggio:
[…] i banchieri furono insospettiti dal fatto che l’originale moneta con lo stesso elmo di Minerva e la lettera «L» fosse infilata in una vetrina di museo. Dissero che questo montaggio storico era mal riuscito (Alberti 1951: 239).
s. 178