Hai sempre pensato che il «bizantinismo» sia Ravenna, S. Vitale e S. Apollinare, S. Giovanni ed il Sepolcro di Galla Placidia, i mosaici dai fantastici colori, i ricchi capitelli, le cupole maestose, gli alti campanili. Certamente questo è «bizantinismo»! Ma l’ufficiale, il ricco, quello della capitale, della sfera che governa, che ha a sua disposizione centinaia di svariati architetti ed artisti. Ma vi è ancora l’altro bizantino, povero, lavorato dalla mano e dalla fantasia di fanatici eremiti, disseminato in tutta la Puglia, che ha raggiunto la sua espressione concentrata nella «Tebaide d’Italia»: Massafra (Alberti 1951: 213).
Oggetto centrale di queste pagine è proprio la lanterna, simbolo di un’antica festività bizantina in cui la leggenda narra di una festa dell’illuminazione soprannominata «Festa del Paradiso», dove durante la notte gli abitanti delle grotte si dirigevano giù, nella vallata, con in mano una lume ad olio fra le mani (Alberti 1951: 214). Proprio riflettendo su questa leggenda e le luci moderne, la scrittrice spera che la lanterna ad olio possa illuminare il sentiero della vita di ognuno di noi (Alberti 1951: 215).
Dopo aver posato le nostre lucerne in quel di Massafra, siamo pronti ad ammirare le antiche mura megalitiche conservate in quel di Manduria, città nota per i fichi secchi. L’autrice ripercorre un po’ i tratti salienti della storia e della costruzione delle mura di questo paese. Ci menziona la leggenda legata all’acqua, nella caverna, dove probabilmente in precedenza si trovava proprio il centro della città antica. È suggestivo come a seconda delle origini dei fondatori, il nome della città possa assumere due significati completamente opposti: Città forte oppure Buon Augurio (Alberti 1951: 218). Tuttavia l’Alberti stessa ci sottolinea come nella storia queste due definizioni siano del tutto contrastanti e in disaccordo.
La nostra prossima stazione, Giurdignano, è la zona in cui si concentra il maggior numero di dolmen e menhir. Ciò porta la nostra “guida polacca” a definirla come un “giardino megalitico” (Alberti 1951: 219). Proprio mentre è in questo giardino, immersa nei suoi pensieri, ancora una volta tende a difendere la Puglia da quelle persone ignoranti che, come ella stessa ci ricorda nell’Introduzione, non sanno riconoscere la differenza tra un dolmen ed un menhir (Alberti 1951: 5). Sulla base di questo, decide di scrivere una cartolina, in cui ancora una volta esorta il lettore a visitare questa terra ed ammirarne le meraviglie. Ribadisce il fatto che ritenga questa una regione per visitatori molto intelligenti ed aperti mentalmente (Alberti 1951: 220).
Dalla provincia di Lecce, giungiamo a nord della Puglia e ci ritroviamo nella Capitanata, precisamente a Foggia. L’Alberti ci parla dello stemma con le tre lingue di fuoco, per poterci introdurre la leggenda della Madonna dei sette veli, ritrovata da dei pastori che seguirono queste tre fiammelle di fuoco e ritrovarono in uno stagno l’icona avvolta appunto da sette veli.
s. 176-177