Ancora una volta, anche in questa località, ci pone davanti ad un quesito nato da una riflessione sulla vita moderna rispetto a quella del passato. Sembra che alla sola vista i trulli diano la possibilità di essere sereni e felici, al contrario delle costruzioni moderne, come ad esempio i grattacieli, che non sono in grado di regalarci le stesse emozioni positive (Alberti 1951: 204).
Per presentarci il capoluogo salentino, Lecce, la scrittrice decide di portarci indietro nel tempo fino all’epoca barocca, per poter comprendere a pieno lo stile di questa città che, al contrario della maggior parte delle altre, ne vanta uno ben definito: quello barocco per l’appunto.
Per rendere al meglio la descrizione di questa località, paragona le città agli uomini e ci dimostra «come gli uomini, le città nascono sotto qualche stella buona o cattiva» (Alberti 1951: 206) e ripercorre così tutte le fasi della nascita di questo gioiello barocco. Parlando di questo stile prorompente, ne descrive gli angeli allegri e vigorosi, proponendoci di bere un bicchiere del buon vino di Lecce (definito dall’autrice come uno dei migliori vini che abbia mai bevuto) e presentandoci alcune delle tante chiese costruite con la particolare e fragile pietra leccese (Alberti 1951: 207–208).
È come se il centro storico di Lecce sia rinchiuso tra le mura, in una sorta di bolla capace di fermare il tempo:
Ogni volta, quando da una delle tre porte usciamo nella città moderna, abbiamo sempre l’impressione di risvegliarci in un’altra epoca. E ci riesce difficile credere di essere nel XX secolo, poiché qui tutto è tranquillità e silenzio (Alberti 1951: 209).
Nella città in cui tutto sembra essere fermo all’epoca barocca, solo gli abiti dei leccesi dimostrano che stanno visitando la città dopo la seconda guerra mondiale.
Con la lucerna ad olio nelle mani… giungiamo insieme ai coniugi presso Massafra. Qui l’Alberti e Cocola si trovano di fronte a un paesaggio suggestivo, con un’aria bizantina. La Tebaide d’Italia, utilizzato dalla scrittrice come guida per visitare questa città, è un testo di uno storico nato in questa terra, Vincenzo Gallo, al quale è dedicato anche il capitolo. Il segreto che ci presenta tra queste pagine è quello di un villaggio bizantino formato da tante grotte vicine, poco accessibili, ideale per i cristiani che cercavano di rifugiarsi e praticare la propria religione, lontano dagli occhi dei Romani (Alberti 1951: 210–211). Con in mano una lanterna ad olio, iniziamo l’esplorazione di queste meravigliose cappelle bizantine. L’autrice vuole farci capire che non esiste solo una forma di «bizantinismo», poiché possiamo distinguerne uno più ricco ed uno più povero:
s. 175-176