Lasciamo il misterioso Castel del Monte, «il poema più bello che Federico II abbia scritto in terra di Puglia» (Alberti 1951: 168), per poter dedicarci ad un altro momento di profonda riflessione storico-culturale. Canosa di Puglia, fondata da Diomede, è ricca di storia e leggende. In questa fermata il presente e le glorie del passato si intrecciano. Si respirano ancora nell’aria i tragici eventi della Roma antica, eppure all’improvviso la modernità irrompe lasciando spazio alla quotidianità canosina. È tempo di vendemmia e l’autrice osserva il paese in subbuglio per questa scadenza. Descrizioni realistiche e vivaci sui contadini e la loro uva, gli asini che spingono i carretti, riempiono le righe riguardanti questa cittadina. Ci rituffiamo nuovamente nel passato, grazie a delle iscrizioni romane, tradotte in italiano e commentate dalla scrittrice (Alberti 1951: 170–173).
Passando tra le vie lunghe e strette ci ritroviamo alle porte della città, laddove c’era la necropoli, che porta l’Alberti ad una riflessione sulla morte:
Dall’eternità dei tempi le tombe hanno interessato non solo la scienza ma anche l’umana fantasia. Dalle necropoli conosciamo la cultura. La morte fu sempre rispettata come la vita. Davanti la morte era inconcepibile ogni avarizia. Anche il più povero sacrificò l’eterno riposo qualche oggetto amato o qualche utensile. I ricchi portarono con sé buona parte della loro ricchezza […]. La volgarità e la ferocia della vita hanno poi arso, rovinato, distrutto, rotto… ma la nobiltà della morte, la serietà e la sanità della tomba, intoccabile eredità secondo il codice non scritto, trasmesso da una generazione all’altra, con il loro sugello hanno guardato il segreto della loro ricchezza (Alberti 1951: 173).
La scrittrice coglie sempre l’occasione per invitare il lettore a visitare la Puglia, offrendogli diversi motivi per poterlo fare:
O straniero, se ti fecero tanto gran torto da battezzarti solo una volta nella vita, vieni a Canosa, ed il Battistero di S. Giovanni certamente ti ripagherà! (Alberti 1951: 175).
Riflessioni sul presente, il passato e le descrizioni terminano con un elogio di questo paesino:
E, sebbene pioviggini e sia assente quel meraviglioso scenografo che è il sole, Canosa, di faccia e di profilo, è per noi splendente, piena di luce interiore (Alberti 1951: 175).
Seguendo le antiche tracce dell’antica Roma, Kazimiera Alberti si prepara a visitare Canne. Tuttavia ci consiglia di fare una sosta con lei a Canosa, per poter ammirare l’Arco Romano. Lungo il tragitto da Bari a Canosa, la scrittrice osserva la Puglia e i pugliesi di notte. Ammira i contadini che lavorano negli uliveti e ne sottolinea la forza d’animo visibile attraverso il canto, nonostante i problemi che possano affliggerli riguardanti il lavoro, il loro raccolto, ecc. (Alberti 1951: 176–177).
s. 169-170