Come delle aquile in volo puntiamo verso il cielo e oltre, perché la scrittrice vuole parlarci di Una stellina della via lattea. Questa stellina, un tempo chiamata Rubi, attualmente è nota come Ruvo. Ricca di storia e di ceramiche, grazie a degli attenti collezionisti, gli Jatta, è possibile ammirare nell’omonimo museo i vasi e le illustrazioni. Nel momento in cui Kazimiera Alberti entra nel museo, ha la sensazione che sia arrivata in una biblioteca piena di riviste illustrate, che altro non sono se non i vasi in ceramica conservati in esso. Da un quesito posto dall’autrice si evince che la visita al museo sia avvenuta nell’anno 1948: «Veramente ho passato questi brevi istanti nel XX° secolo, nell’anno 1948?» (Alberti 1951: 157).
Dopo l’ammirazione delle ceramiche e della cattedrale la città si spegne in un buio pesto che porta l’autrice ad essere un po’ malinconica, seppur con un tocco di speranza, poiché guardando il cielo si rende conto di come le stelle brillino come se fosse estate e non novembre: «E forse resterà veramente dopo di noi qualche… stellina della Via Lattea» (Alberti 1951: 159).
Ci spostiamo giusto qualche chilometro più in là, per raggiungere una cittadina che ha avuto la possibilità di assaggiare la gloria imperiale: Andria (Alberti 1951: 161). L’Alberti scrive come l’epoca moderna abbia privato le piccole città dai grandi avvenimenti e come tutto ciò ora avvenga solo nelle capitali. Un tempo anche i piccoli paesi furono i protagonisti di fatti importanti, come nel caso di Andria, città a cui Federico II in partenza per le crociate affidò sua moglie Jolanda, che diede alla luce suo figlio, futuro erede al trono. Purtroppo dopo qualche giorno la donna morì per le conseguenze del parto e la città fu in lutto. La cripta della cattedrale di Andria, oltre alle spoglie di Jolanda, conserva anche le spoglie della seconda e della terza moglie di Federico II. Andria è l’unica città che è rimasta fedele all’imperatore e da qui la scrittrice prende spunto per poter riflettere sulla fedeltà non solo delle città, ma anche dell’uomo (Alberti 1951: 160–163).
Federico II di Svevia ha svolto un ruolo molto importante nella storia della regione pugliese. Ci sono tracce della sua presenza in tutto il territorio. Il monumento più importante e che ci viene subito in mente pensando alla sua figura è proprio il Castel del Monte[1].
La scrittrice ci suggerisce di leggere Un poema al vento dei secoli: Castel del Monte. Proprio per questo ci presenta la sua definizione di poema:
Quando diciamo «poema» per noi questo non racchiude solamente metrica di versi, composta in giambi, trochei od epodi da umane parole. Questa sarebbe una troppo povera definizione! Vi sono altri poemi, scritti con le minuscole note che assumeranno vita sotto l’archetto serafico di un violino o, elaborate dai più vari istrumenti, confluiranno nell’unità ideale sinfonica […]. E poemi furono scritti con l’esile trama degli arazzi fiamminghi o con i minuscoli vetri dei mosaici bizantini (Alberti 1951: 164).
s. 167-168
[1] Per approfondire l’argomento cfr. F. Cardini (2016).