Per Kazimiera Alberti il Monaco è la prima divinità assoluta ad aver avuto una forma, una sorta di mentore per gli esseri divini che a suo dire siano comparsi successivamente e in ambiti più specifici. Ai piedi di questo monumento neolitico, inizia una riflessione sulla vita e traspare la sua formazione laica con un tono quasi critico nei confronti di coloro che si rivolgono a entità superiori con le loro domande:
Siedi ai suoi piedi. Non chiedere nulla perché nulla ti risponderebbe. Nulla guadagnerai a supplicarlo. Alcun peccato egli ti rimetterà. Né t’imporrà penitenze. Né ti darà premio alcuno! Non ti consiglierà niente. Non ti profetizzerà nulla. Non ti destinerà a nulla. Non ti obbligherà con alcun codice (Alberti 1951: 146).
Restiamo ancora ne Il mistico triangolo modugnese, accanto al Menhir neolitico, lì dove c’è la chiesa di San Pietro di Basignano, una tra le più antiche chiese romaniche pugliesi, con la sua cupola che raffigura il cielo e la grotta dove ha vissuto San Corrado, in cui il santo ha cercato di creare una comunione con la Divinità. Il triangolo spirituale è dunque composto dal Menhir, dalla chiesa di San Pietro e dalla grotta di San Corrado (Alberti 1951: 148–150).
Dopo questa sosta a Modugno, accompagnata da una riflessione sulle divinità e il sacro, la nostra «cicerone» ci invita a soffermarci ad osservare una piccola località quasi sconosciuta: Bitonto. Nel territorio di quella che l’Alberti definisce un’enorme pinacoteca, quale è l’Italia (Alberti 1951: 151), non ci sono solo le grandi e piccole città più note agli stranieri come Roma, Napoli, Venezia, Genova, Firenze, ecc., ma è possibile trovarci «centinaia di miniature e piccoli ed intimi medaglioni» (Alberti 1951: 151), tra cui Bitonto. Ci addentriamo dunque all’interno di questa città trapezoidale con al centro un’imponente «aquila»: la cattedrale di Bitonto. Definita come una tra le più belle chiese romaniche, nonostante i «danni» subiti dal Settecento, si presenta agli occhi dell’autrice come un’«aquila con una sola ala» (Alberti 1951: 151).
La descrive nei minimi dettagli e la paragona anche a chiese sparse per il mondo, per esempio a Parigi, a Praga o a Vienna, sottolineando che non sfigurerebbe in mezzo a monumenti più importanti (Alberti 1951: 151). Alla fine si pone una domanda, portando nuovamente tra le sue pagine il pensiero sull’uomo e la sua capacità di distruggere da una parte, tuttavia dall’altra ne esalta il suo saper immergersi nell’arte e la sua abilità nel costruire straordinari monumenti:
Questo dualismo insito nella sua natura umana accompagnerà l’uomo fino al termine della sua vegetazione terrestre? Vincerà mai una di queste metà? E se vincerà, quale delle due? Il fango? Le ali dell’aquila? O almeno una sola? (Alberti 1951: 154).
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