Le fasi del giorno e l’aspetto della rosa, che cambiano man mano con il passare delle ore, sembrano voler simboleggiare le fasi della vita: la giovinezza rappresentata dal bocciolo al mattino, il pieno della vita durante l’età adulta a mezzogiorno e al tramonto, quando la rosa è ormai appassita, giungiamo alla vecchiaia. Ormai sfiorita, la rosa, viene gettata tra le onde verso l’infinto e l’eternità del mare.
Con questa riflessione sulla vita e la rosa trasportata chissà dove dalle onde, ci prepariamo ad allontanarci dal mare per arrivare nelle viscere del calderone pugliese. Siamo pronti ad esplorare la Puglia dall’entroterra nella seconda sezione L’interno del calderone. La novità in questo caso non è solo il percorso che prende un’altra direzione, ma anche il mezzo di trasporto che l’Alberti utilizza per spostarsi: il treno. Dai finestrini delle “Ferrovie del Sud-Est” tornano a galla i ricordi della scrittrice legati a questo mezzo di locomozione, il treno, che l’ha portata in diversi posti del mondo. La ferrovia del Sud-Est viene elogiata da Kazimiera Alberti, non solo per la sua funzione economica, ma piuttosto per la sua funzione culturale; utilizzava il treno per tratte ben più lunghe, per esplorare nuove terre e non per uso domestico. Difatti descrive la ferrovia del Sud-Est in maniera entusiastica, per dimostrare che la Puglia era riuscita a progredire per quanto riguarda i mezzi di trasporto:
Nelle vecchie guide leggiamo che «La Puglia è difficile a visitare per la mancanza di mezzi comodi di locomozione» (Alberti 1951: 140). […] nessuno può già più dire che la Puglia sia regione difficile a visitare (Alberti 1951: 142).
Elogia le ferrovie che permettono di visitare anche i paesini più piccoli, di ammirare paesaggi fantastici attraverso il finestrino ferroviario (Alberti 1951: 142).
La prossima stazione è quella di Modugno, la cui narrazione ruota attorno al rapporto tra l’uomo e il sacro. L’Alberti, essendo una viaggiatrice, nel corso dei suoi viaggi ha avuto la possibilità di «incontrare» diverse divinità di differenti culture:
In Egitto, con diffidenza mi avevan guardato gli occhi eterni di Osiride. […] Al Vaticano lo Zeus di Otricoli chiudeva nei suoi occhi, come un libro prezioso, tutta la filosofia dell’antichità. Sulle rive della Vistola vidi Swiatowid, il Dio che vede il mondo intero. Aveva quattro facce, volte ai quattro angoli del mondo. […] In Grecia, a Dafnae, avevo ammirato il Dio bizantino, cupido della potestà della terra. […] Da Costantinopoli al Marocco il Dio dell’Islam […]. In Francia ed in Spagna, in Olanda ed in Belgio, il Dio Cristiano, rappresentato in migliaia di magnifiche edizioni […] (Alberti 1951: 144).
Nonostante avesse avuto l’opportunità di ammirare diversi esseri divini in giro per il mondo, qui, a Modugno, la scrittrice resta sorpresa nel vedere una divinità diversa dal solito, eppure con due caratteristiche tipiche: «la impenetrabile indifferenza e lo splendido mutismo» (Alberti 1951: 145). Questa divinità coincide con il Menhir di pietra, soprannominato il Monaco (Alberti 1951: 145).
s. 165-166