Siamo pronti per la nostra prossima stazione definita dall’Alberti una tra le poche città industriali della regione, Monopoli, la “Città Unica” (Alberti 1951: 131).
Ne ammira la Cattedrale e si sofferma sulla curiosa leggenda che si cela per la costruzione del tetto di quest’ultima: la Cattedrale, costruita su richiesta del vescovo Romualdo, non poteva essere completata per la mancanza delle travi necessarie per il tetto; durante la notte del 16 dicembre 1117, il vescovo ebbe una visione e dopo essersi recato a «cala batteria», il porticciolo della città, scoprì in mezzo al mare una zattera costruita con tavole di cedro, sulla quale c’era il quadro della Madonna della Madia, attuale Santo Patrono della città. Grazie a quelle travi è stato possibile finire la costruzione della chiesa (Alberti 1951: 131).
Come suggerisce la stessa autrice:
Forse non a caso la balconata ha approfittato proprio di questo panorama moderno di fabbriche, serbatoi e ciminiere per inquadrarvi uno dei suoi più romantici racconti (Alberti 1951: 132).
Ultima tappa del viaggio lungo la balconata pugliese è Santa Maria di Leuca: de Finibus Terrae. Un tono malinconico pervade le righe che descrivono questo luogo, poiché porta Kazimiera Alberti a riflettere sul fatto che ogni cosa abbia un inizio ed una fine:
Qui finisce la Terra! Finibus Terrae!
Un posto malinconico, sul balcone pugliese! Ci ricorda che tutto ha una fine. Che la vita comincia con l’innocente Mattinata garganica e finisce con la oscura sera a S. Maria de Finibus Terrae (Alberti 1951: 133).
Tanti simboli ci accompagnano in quest’ultima scorribanda lungo la balconata: il sole con cui il viaggio inizia e il buio con cui termina, metafora della vita; la partenza dal Gargano al nord, fino ad arrivare giù nelle acque lontane a Santa Maria de Finibus Terrae, dove il mare infinito ci porta a pensare all’eternità. La rosa che accompagnerà l’Alberti durante il viaggio sarà infine gettata tra le onde:
Siamo partiti al mattino presto e la nostra rosa ottobrina era in bocciolo. A mezzogiorno nella calda Mola era in pieno rigoglio. Ora che s’inizia il tramonto è appassita. […] La rosa è sfiorita! La gettiamo alle onde! Non sappiamo verso dove navigherà! […] Quando arriverà la sera della vita qualche mano getterà anche noi alle onde (Alberti 1951: 132–133).
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