Attraverso le note del vento e del mare ci lasciamo trasportare lungo il cammino verso Taranto per Un’amichevole visita a Taras. In questa nuova tappa l’autrice fa di nuovo ricorso ad una figura leggendaria, come avvenuto in precedenza per il capoluogo pugliese, colui che ha fondato il capoluogo ionico: Taras, il figlio di Nettuno ed il suo delfino. La ricchezza di questa città per l’Alberti è proprio il mare, che ha dato tutto a questa popolazione, talvolta anche la morte (Alberti 1951: 116). Tra i prodotti tipici del posto, spiccano i frutti di mare, che possono divenire «un soggetto meraviglioso per un pittore di nature morte» (Alberti 1951: 117).
Gli odori, i profumi, i frutti di mare, il clima, le portano alla mente Marsiglia, la Spagna, la Grecia. Le fanno ricordare l’aria che si respirava nel Mediterraneo (Alberti 1951: 117). Non si sofferma solo sulla natura e il paesaggio, quindi decide di recarsi in visita al museo, il cui proprietario, Ciro Drago (al quale dedica il capitolo), le dà la possibilità di visitarlo, pur essendo ancora chiuso al pubblico dopo la seconda guerra mondiale. La sua sete di conoscenza la porta nel museo che le permette di immergersi e perdersi tra i reperti della Magna Grecia (Alberti 1951: 118).
Ancora una volta con un tocco di fantasia ci si ritrova in compagnia del fondatore della città a bere del vino locale. L’incontro si conclude con un invito a fare un tuffo nel passato sul dorso del delfino di Taras (Alberti 1951: 120). Di qui inizia un excursus sulla storia di Taranto, «una stella della Magna Grecia» (Alberti 1951: 121), dalle origini alle vicende di Taras fino ai tempi di Annibale per risaltarne l’importanza nel corso dei secoli.
Nell’Ultima scorribanda lungo la balconata, poi, ripercorriamo con l’autrice tutto il suo itinerario, con qualche tappa in più. Ripartiamo ancora una volta dal Gargano con l’esaltazione dei paesaggi che le scorrono davanti agli occhi: Rodi, Vieste, Manfredonia (Alberti 1951: 127). Poi una sosta alla stazione termale, Margherita di Savoia, definita dall’autrice «la più giovane città della balconata» (Alberti 1951: 127), che prese il suo nome solo settant’anni prima della visita della scrittrice. Facciamo un salto a Molfetta, per poter ammirare la cattedrale di San Corrado, che colpisce la donna nonostante ne abbia viste diverse e di stupende. Quello che la incanta è lo stile locale delle tre cupole per le quali è stata utilizzata la «copertura piramidale dei trulli» (Alberti 1951: 127).
Lungo la costa facciamo un’altra piccola fermata a Mola di Bari per poter gustare con la coppia del vino e del pesce fritto che lasciano in loro un senso di leggerezza e spensieratezza:
[…] la gastronomia polacca afferma che «dopo pesce e vino l’uomo è leggero come una piuma, dopo carne e birra è pesante come un legno» (Alberti 1951: 130).
Con la pancia piena e un po’ di serenità ci prepariamo ad ammirare Polignano a Mare: in particolare quello che salta all’occhio dell’autrice è la grotta Palazzese, con i suoi colori che passano dall’argento al platino, da toni grigi a toni verdastri (Alberti 1951: 130). Colori che ci riempiono l’animo e ci permettono di riposarci, rinfrescarci.
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