Ogni città ha le sue curiosità! Bari, ha il suo magnifico vaso. Tu domanderai subito, con interesse: «E qual è questo vaso?». […] Si chiama «Bari Vecchia» (Alberti 1951: 75).
[…] In questa isola a forma di vaso puoi entrare con facilità da ogni lato, ma l’uscirne è cosa ben più difficile (Alberti 1951: 76).
Nel corso dei secoli qui tutto è rimasto invariato, i gesti quotidiani sono ripetuti nel tempo, l’artista che canta con la sua chitarra, l’artigiano che lavora davanti alla sua casa, il mercato in miniatura, l’asinello che trasporta la merce e così via. È un teatro ricco di sfaccettature, una diversa dall’altra, Bari vecchia rappresenta la vita (Alberti 1951: 77–78). Possiamo dunque perderci per le vie del centro storico di Bari assaporando a pieno lo spettacolo folkloristico che solo il capoluogo pugliese è in grado di offrirci.
Dopo esserci goduti lo show a cielo aperto di Bari vecchia, iniziamo un nuovo viaggio nel tempo con un orologio che non segna solo le ore, i minuti e i secondi, anzi ci consente di fare un salto addirittura nell’antichità. L’arrivo della fiamma olimpica nel capoluogo della regione, per i giochi olimpici di Londra del 1948, ispira l’Alberti, che inizia un excursus a partire dalle origini delle olimpiadi nell’antica Grecia, descrivendone le abitudini collegate ad essi, fino a giungere alla versione moderna. Dopo la pausa dovuta alla guerra, la scrittrice esalta i valori pacifici di questa manifestazione, che finalmente superano l’oscurità creata degli eventi bellici (Alberti 1951: 79–85). Ricorre ancora una volta la ricerca di pace e serenità, un desiderio di tregua, di tranquillità dopo il subbuglio e il caos creato dalla guerra.
Spostandoci verso Sud durante la nostra esplorazione della Puglia, giungiamo a Egnazia, città nota per la sua ceramica e per essere stata menzionata in una satira di Orazio. Questa città venne distrutta da Totila nel VI secolo e anche in questo caso l’autrice non rinuncia a parlare in chiave negativa dell’uomo che distrugge:
Ma l’uomo-Totila, il crudele concorrente degli elementi infuriati, non è mutato. Ed è lo stesso se Egnazia si chiami Varsavia od Amburgo, Rotterdam o Colonia, Belgrado o Cassino, Nagasaki o Stalingrado. Tutto eguale, lo stesso! Si svolga nel 545 o nel 1945… (Alberti 1951: 88).
Il rimbombo della guerra irrompe ancora una volta nel testo. Questo vagabondare ci porta a fare un esame di coscienza. Ritrovare ogni volta la forza di ricostruire una città, per ricominciare, non è semplice. Infatti il capitolo si chiude con una domanda dell’autrice:
Ma domani se dovessero ripetersi molte Nagasaki su ogni dimensione geografica, […] avremo più la volontà di ritornare sulle rovine e ricostruire di nuovo? (Alberti 1951: 88).
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