L’album biscegliese è il riassunto della vita quotidiana a Bisceglie, ne descrive le strade, le case, la gente. Per poter vedere esattamente questo quadro della quotidianità locale l’unico elemento sul quale basta soffermarsi per interpretarla a pieno è la strada. Perché è proprio lì che l’italiano trascorre le sue giornate, lavora, vive, prega e così via (Alberti 1951: 58).
Conclusasi la presentazione di Bisceglie, all’improvviso ci ritroviamo di fronte ad «un incontro amoroso» con Barion, il fondatore del capoluogo pugliese.
Le pagine sono attraversate da un tocco di fantasia, di brio che ci pervade sin dalle prime righe con un bigliettino ricevuto dall’autrice, da un certo Barion, che le dà appuntamento alla stazione di Bari (Alberti 1951: 59). Egli si presenta come un uomo elegante e distinto che ha fondato la città di Bari e ha deciso di guidare l’Alberti tra le vie della sua cittadina. La scrittrice, incuriosita, inizia a fare diverse domande sull’identità di questa figura, che si presenta come un fondatore della città, che ha un età «sottointesa» (Alberti 1951: 59). Quest’ultimo, che accompagna l’autrice in questa visita, porta alla luce anche eventi del passato: guerre, epidemie, cataclismi della natura. Tuttavia lui era sempre pronto a salvare la sua città e a ricostruirla pezzo per pezzo. Kazimiera Alberti è completamente ipnotizzata da questo «uomo» e dai suoi valori (Alberti 1951: 59–61).
In questo dialogo un po’ bizzarro, il Barion chiede all’autrice polacca di guidarlo per la visita della città:
– Oggi sono rivenuto per vedere questa città nuova. Vi prego di farmi da guida.
– Io!? Ma io sono una straniera, non lo sapete?
– Lo so benissimo! Appunto per questo vi prego. Lo straniero vede sempre le cose caratteristiche (Alberti 1951: 62).
Questo dialogo continua, toccando elementi come l’acqua, la fontana, l’università, il lungomare, la pinacoteca provinciale. Anche l’esaltazione degli uomini vitali pugliesi è qui sottolineata, sempre per poter poi criticare quegli uomini che utilizzano la propria scienza per organizzare le guerre (Alberti 1951: 63).
Nel momento in cui si parla della Fiera del Levante, c’è un elogio ai baresi che con le loro iniziative e capacità organizzative sono stati in grado di creare questa fiera. Nella fiera Barion è contento, adora la folla chiassosa, si diverte come un ragazzo (Alberti 1951: 66–67).
Questo romantico appuntamento con Barion termina dopo una bella giornata con il chiarore della luna e un mazzo di garofani rossi che il fondatore regala all’Alberti:
Barion si allontana un istante. Ritorna con un fascio di lunghi garofani rossi.
– Per il vostro disturbo cicerone…Avvicino i garofani alle narici. Di colpo il posto a me di fronte è vuoto. Barion è sparito. Come una visione, come una nebbia, come un’onda (Alberti 1951: 67).
Questa invenzione narrativa cattura l’attenzione del lettore, che si fa coinvolgere da questo flirt intellettuale che la donna ha con Barion. Pur non dedicando una sezione a parte al capoluogo pugliese, le doti artistiche dell’Alberti ci fanno vivere la descrizione di Bari con un po’ di freschezza e di vivacità.
Con grande abilità e maestria la nostra «cicerone» ci mostra le due medaglie sulla storia del santo patrono della «porta d’Oriente»: San Nicola. Ci offre un quadro della visione che i bimbi polacchi hanno di quest’ultimo: tra il 5 e il 6 dicembre, egli porta i doni ai bambini, come la Befana in Italia porta i doni ed i dolcetti il 6 gennaio. Oltre ad essere il santo adorato dai più piccoli, San Nicola è anche il santo adorato dagli innamorati. Ai bambini polacchi più poveri giungevano i regali sotto il guanciale, grazie ad associazioni e comitati del posto (Alberti 1951: 69). Questo dimostra come la figura di San Nicola sia davvero importante per il popolo polacco.
L’immagine che l’autrice ha avuto di San Nicola è appunto quella che tutti i polacchi hanno sempre avuto, ovvero di colui che porta i doni ai bambini e agli innamorati. Eppure una volta arrivata a Bari, questa figura viene stravolta. Ora ha di fronte a sé un santo che protegge i marinai dalle catastrofi. Si rende conto che l’altra «fotografia» di San Nicola sia sconosciuta agli occhi dei baresi. Difatti nel capoluogo pugliese ogni anno il 9 maggio si rende omaggio al santo, che arrivò da Mira via mare, circondato da 42 marinai. Per Kazimiera Alberti, come per tutti coloro i quali venerano San Nicola come quella figura che porta i doni, rileggendo la sua storia, è possibile comprendere che in realtà è colui che raccoglie, colui che aiuta (Alberti 1951: 68–70).
In questa sosta nel capoluogo pugliese, la scrittrice polacca ci parla della Basilica di San Nicola di Bari e della leggenda di San Nicola. I monumenti, uno dei temi ricorrenti nel libro, soprattutto quelli romanici come in questo caso la Basilica di San Nicola, intimoriscono i fedeli portandoli a riflettere che non sono necessari il lusso e l’ostentazione della ricchezza, ma che la semplicità e le rinunce possono riempirci il cuore e l’anima e portarci ad un esame di coscienza (Alberti 1951: 74).
L’Alberti racconta come i baresi rubarono le sacre reliquie del santo da Mira, che nel 1087 giunsero nel porto di Bari su una nave mercantile. La basilica venne costruita appositamente per poter depositare le reliquie di San Nicola, però l’autrice non si sofferma sui vari cambiamenti esterni avvenuti nel corso dei secoli, ma sulla psicologia, sul pensiero, sulla spiritualità ad essa legata (Alberti 1951: 71–74).
Attraverso un’interessante metafora, ci presenta l’anima della «porta d’Oriente » – «Bari Vecchia»:
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