La lingua
Indubbiamente, tra i temi trattati nel romanzo, il più rilevante, è la questione della lingua. Il bilinguismo, la scarsa padronanza dell’italiano da parte dei sudtirolesi tedescofoni (e del tedesco da parte degli italofoni), il sentimento di vergogna per il parlare male e persino le influenze reciproche tra tedesco e italiano (a volte sorprendenti!) che risultano accomunati, sono tematiche ricorrenti nel testo.
Come già menzionato, il bilinguismo nella regione è attualmente stabilito dalla legge. Vista la forte presenza dei due gruppi linguistici (e un terzo, quello ladino, più limitato territorialmente) il bilinguismo non è solo regolato dal punto di vista giuridico, obbligando le istituzioni pubbliche ad adottare le due lingue, ma è soprattutto una necessità della gente comune. Tale situazione la ritroviamo sin dalle prime pagine del romanzo:
Dopo Sterzig/Vipiteno, poco prima di Franzensfeste/Fortezza, Carlo ha fermato all’Autobahnraststätte/Autogrill e ci siamo mangiati un belegtes Brötche/panino. Poi siamo usciti dall’Autobahn/autostrada e abbiamo pagato al Mautstelle/ casello. Sulla sua Volvo, che meno male è svedese e quindi non si traduce né in tedesco né in italiano. Benvenuti in Südtirol/Alto Adige, regione del bilinguismo (Melandri 2017: 18).
In questo frammento non c’è ancora nessuna traccia emotiva. Il bilinguismo è soltanto una coesistenza di più termini in entrambe le lingue utilizzati per denominare la stessa cosa. Nel corso del libro, e della spiegazione al lettore che in Alto Adige niente è così come lo si aspettava, si evincono esempi di una coesistenza linguistica più significativa.
In una regione come l’Alto Adige anche il modo di chiamare il cibo non è neutrale. Con una buona dose d’ironia l’autrice fa vedere come il bilinguismo culinario in realtà rappresenti la mescolanza delle lingue e gli influssi reciproci in tutti gli aspetti della vita. Un esempio di ciò è presentato dalla Melandri, che ci spiega come nei primi anni Sessanta, Herr Neumann, cuoco dell’albergo in cui lavorava la protagonista Gerda, si esprimeva parlando del cibo:
[i pesci] li chiamava così, in italiano. Anche per verdura e frutta usava i nomi italiani […]. Per la carne, invece, usava il tedesco […]. Quel bilinguismo culinario […]. L’unica eccezione alla regola, quasi un omaggio involontario agli stereotipi tra italiani e tedeschi, erano le patate: pur rientrando nella categoria degli ortaggi, o almeno dei tuberi, per tutti erano sempre e solo Kartoffeln. Che però come la frittura superavano le tensioni interetniche sudtirolesi e acquisivano status internazionale, diventando Pommes Frites (Melandri 2017: 82).
s. 193-194