Non sorprende perciò che, prendendo in considerazione tali esperienze, la bgente germanofona si inibisse nel parlare italiano: «non osò chiedergli informazioni: a parlare in italiano si vergognava» (Melandri 2017: 56).
Nel corso degli anni il bilinguismo dei sudtirolesi/altoatesini si è diffuso sempre di più. È un bilinguismo studiato, non innato. Si sente che l’italiano dei sudtirolesi non è un italiano appreso a casa, in modo naturale. L’accento tedesco è sempre ben marcato, non importa quanto bene uno conosca l’italiano. Nella seconda metà degli anni Sessanta, durante i lavori sulle soluzioni pacifiche per stabilizzare le tensioni nella regione, «i [politici] sudtirolesi avevano sorpreso gli interlocutori con il loro italiano forse rigido ma corretto; nessuno dei delegati governativi preposti alla risoluzione della questione altoatesina, invece, aveva reputato necessario imparare una sola parola di tedesco» (Melandri 2017: 199). Le parole citate sono segno di ignoranza da parte dei delegati che non si mostrano capaci di fare un gesto verso i loro interlocutori sudtirolesi e imparare qualcosa della loro lingua – una delle cose più significative per la loro identità. Danno, invece, per scontato che essi, per il solo fatto di trovarsi in Italia, parlino italiano.
Trattando della lingua bisogna fare anche un’altra osservazione. Non è preso in considerazione solo quale lingua si parlasse e come ciò fosse visto dall’esterno, ma anche il mondo in cui tali lingue fossero espresse. In effetti, sia il tedesco che l’italiano parlati nella regione sono molto particolari. Delle influenze italiane nel tedesco si è già accennato nel paragrafo riguardante le bestemmie. Come viene sottolineato nei vari testi specialistici, anche l’italiano della provincia di Bolzano via dagli influssi del tedesco (Cavagnoli 2000: 374). Tale questione è segnalata anche nel romanzo. L’unico protagonista altoatesino italofono parla in maniera rappresentativa per il suo gruppo:
«Finita Pasquetta, se vuoi, vengo dentro» […]. Un altoatesino, pur se di sangue veneto-calabrese come lui, traduce in italiano molte espressioni del nostro dialetto tedesco. Si va dentro, inni, quando si va nelle valli che scorrono aussi, fuori, verso la pianura e il vasto mondo (Melandri 2017: 21).
L’autrice non è però coerente. Da una parte il lettore apprende i problemi linguistici dalla gente, dall’altra non lo percepisce nel linguaggio della narrazione, in maggior parte dei casi i protagonisti parlando non usano nessuna inflessione dialettale. Si può presupporre che la scelta sia basata sulla volontà dell’autrice di farsi capire bene dai lettori e di non far perdere il significato delle importanti tematiche del libro, solo a causa dell’incomprensione linguistica dettata dal linguaggio dei personaggi. Allo stesso tempo tale decisione può essere vista come una limitazione, un impoverimento del romanzo.
s. 196-197