Quando si parla di Polonia in Italia e altri Paesi europei di solito si pensa ad una terra caratterizzata da omogeneità linguistica, etnica, religiosa e culturale. Non bisogna dimenticare, però, che il Paese, in parte favorito dalla sua posizione geografica, nel corso dei secoli è stato un crocevia di culture diverse. Una delle minoranze etnico-religiose presenti da secoli sul territorio polacco e che ha dato un grande contributo militare, economico e culturale alla Polonia è senza ombra di dubbio la comunità tatara. Basti pensare che il grande scrittore e premio Nobel per la letteratura Henryk Sienkiewicz aveva origini tatare.
Attraverso un viaggio storico-letterario scopriremo credenze, usi e costumi di questa minoranza ancora poco conosciuta e sempre più minacciata dal processo di assimilazione. Nel Medioevo, in Occidente, i Tatari erano considerati terribili «guerrieri dell’inferno», giunti dall’Asia centrale e pronti a mettere a ferro e fuoco le città conquistate. A lungo i Tatari e i Mongoli sono stati considerati un unico gruppo etnico. Ma chi erano realmente i Tatari? Da dove venivano? Cosa li spinse a emigrare nell’Europa orientale? E soprattutto erano Turchi o Mongoli? Per rispondere a queste domande occorre fare un salto spazio-temporale per conoscere le origini di questo popolo. Il nostro viaggio ha inizio tra le steppe dell’Europa orientale, tra culture apparentemente distanti dal mondo balto-slavo.
I Tatari erano nomadi di lingua turca che vivevano nelle steppe della Mongolia settentrionale, nei territori compresi tra il monte Burhan Haldun e il fiume Herlen. Abili guerrieri, i Tatari erano temuti dai vicini cinesi che, attraverso la Grande Muraglia, avevano creato una barriera difensiva contro di loro e i popoli limitrofi (Grousset 1996: 186–189). I Tatari erano divisi in tribù, ricordiamo alcune delle più note: gli «Otuz Tatar» ovvero i «Trenta Tatari», i «Tokuz Tatar» ovvero i «Nove Tatari» (Vásáry 2005: 9). Nelle fonti cinesi vengono menzionati i «Tatari Neri» e i «Tatari Bianchi» (Eberhard 1947: 259). Sull’origine dell’etnonimo Tatari sono state formulate diverse ipotesi: alcuni studiosi ritengono che il termine derivi dal cinese Ta-ta ovvero ‘sporchi, barbari’; secondo l’ipotesi formulata dal filologo Mahmut Kasgarli la parola Tatari deriva dalla radice Tat e significa ‘non musulmani’, secondo altri storici, invece, Tat-ar significa ‘straniero’ (Kamalov 2007: 19–20).
Nel Medioevo il termine Tatari è entrato in Occidente attraverso la mediazione dell’arabo e dell’armeno e, come spesso accadeva all’epoca i popoli non cristiani erano tutti etichettati come barbari, così i Tatari e i Mongoli furono considerati un unico popolo. I Tatari, in realtà, erano spesso in conflitto con i Mongoli.
Il clan di Gengis Khan aveva più volte combattuto con questi abili e temibili guerrieri (Yasushi 2008: 1). Yesugei, padre di colui che in seguito sarebbe passato alla storia come Gengis Khan, decise di chiamare il figlio Temujin in onore del valoroso capo tribù tataro da lui sconfitto (Gezici 2013: 11–13). La Mongolia a causa delle continue lotte tra le diverse tribù era facile preda da parte dei popoli limitrofi e per contrastare le invasioni era, dunque, necessario unificare il territorio. Yesugei tentò nell’impresa, ma morì prematuramente avvelenato dai Tatari (Cope 2014: 26). Fu suo figlio, il giovane Temujin, che riuscì a porre le fondamenta per l’Impero Mongolo: sottomise dapprima i turchi merkiti del lago Baikal, poi sconfisse i Tatari, i Kerait e in seguito conquistò i territori del Naiman unificando così le diverse tribù della Mongolia (Burgan 2005: 22–28).
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